MICHELE PELLEGRINO
photography
Elva
un paese occitano
Testi di
Diego Anghilante
e
Fredo Valla
Testo di Diego Anghilante
Michele Pellegrino, il fotografo di Chiusa di Pesio che da trent’anni interroga ossessivamente queste sue montagne e la gente che vi resistono, fotografando e fotografando ancora.Io ammiravo alla sua opera dai tempi di Visages de la Contemplation (1980).
Lui aveva apprezzato una mia recensione al suo recente Una traccia nel Tempo. Il suo lavoro su Elva era già a buon punto, e dunque è stato per puro caso che ci siamo incontrati a lavorare su un paese per me così importante. Lo sguardo poetico di Pellegrino indaga queste montagne, come dicevo, da tanti anni, da quando nel 1975 pubblicò un altro suo grande libro, Profondo Nord. (…)
Ha dunque documentato un passaggio epocale, il tramonto di un’era - si pensi ai lavori agricoli lustrati in quel libro, ai muli, agli aratri - la fine della civiltà alpina. Ma lo ha fatto scavando nell’interiorità di ogni ritratto, cogliendo la storia intima di tante singole vite. (…) Da qui un colloquio preliminare con i luoghi che non ha nulla dello studio maniacale e pedante. Forse trent’anni di memoria fotografica e un archivio di diecimila negativi gli forniscono in pochi secondi le informazioni riguardanti la quantità di luce, la sua provenienza, il campo, il fuoco, la distribuzione dei volumi, le linee di forza. Apparentemente tutto facile, immediato, spontaneo.
Ma questa è, come insegnava il Castiglione, la grande arte della “sprezzatura”: fare apparire facile il difficile, celare la fatica che sta dietro il lavorio dell’opera. In realtà ogni scatto comporta una notevole concentrazione. Me ne accorgevo quando, all’inizio del pomeriggio, dopo aver scattato tre e quattro rullini, Pellegrino mi diceva: “comincio ad essere stanco”. (…)
Non è il soggetto, la sua importanza, bellezza o monumentalità a darci l’opera, è solamente l’occhio creativo che illumina di pathos ciò che per l’occhio comune è sciatta realtà, che dall’ insignificante trae il significato, valore, emozione, bellezza. Ho verificato questo teorema quando vedevo Pellegrino tralasciare scenari maestosi o particolari accattivanti per ritirarsi sull’infisso di una porta, su un numero civico, sulla sagomatura di un’ombra. Dei “punti panoramici” nemmeno parlava, come se non li avesse visti. Qualcosa di simile accadeva con le persone: alcune, che a me parevano assolutamente rappresentative della tipologia autoctona, non le considerava affatto. Una voce interiore lo guida con sicurezza. (…)
La realtà non sopporta di essere corretta o edulcorata. Proprio dalla registrazione del puro dato lo spietato realismo di Pellegrino trae forza poetica, dove il mero oggetto non è più solamente se stesso ma cifra da decifrare indefinitamente. Così è per i due poveri bicchieri della fotografia di pag. 80, opachi, incrostati, lasciati lì sulla tela cerata che ricopre il vecchio tavolo di legno, a evocare una presenza umana, anzi un’intera vita, una storia individuale. (…) Come in una consumata scenografia la luce non giunge dall’alto, che è tetro e fumoso, ma inonda dal basso il pavimento e si propaga sulle superfici in grado di accoglierla, mentre i due bicchieri recitano il loro muto dramma. (…) I vertici della fotografia di Pellegrino sono appunto quelli nei quali si avverte il baluginare di sensi ulteriori, di evanescenze che sfuggono alla descrizione del linguaggio. Si tratta spesso di vedute scabre e severe: pochi volumi astrattizzanti, la funzione descrittiva ridotta al minimo. (…)
Soprattutto la fotografia di pag.139 esemplifica l’attenzione di Pellegrino per le nuvole. Non si tratta qui di un ludico invito a spaziare con la fantasia tra le forme sempre nuove delle nuvole. C’è qualcosa di molto più profondo, un rintracciare l’alea del mondo, un illustrare Elva attraverso le nuvole che le passano sopra e che, in qualche imperscrutabile modo, la rispecchiano. Tornano alla mente le parole scritte nel 1923 da Stieglitz, il precursore della straight photography : “Attraverso le nuvole esporre la mia filosofia della vita, mostrare che le mie fotografie non erano dovute al soggetto, non a privilegi speciali: le nuvole erano lì per tutti, non erano soggette a tasse: erano libere.”
Dalle nuvole al pallone tenuto da una mano infantile, dalla motocicletta appoggiata al muro screpolato all’ombra di un albero, è il muto oggetto che va oltre la sua natura fisica, che accende lo sguardo capace di trasfigurarlo.
Testo di Fredo Valla
Da “Ousitanio vivo”, 2002
(…) Scoprire Elva è come dischiudere la porta segreta di una piramide… come trovare i segni di un mondo che è stato… rinvenire un libro scomparso che narra la vita di quando le idee andavano a piedi e vivere in altitudine non era isolamento dal mondo. (…) Racconto questi fatti perché la sera stessa mi è capitato di sfogliare “Elva un Paese Occitano” con le fotografie di Michele Pellegrino e un racconto di Diego Anghilante. Sfogliato e letto di un fiato! Con la gioia di ritrovare gli sguardi o i pensieri che amo. (…) Così di “Elva paese Occitano” voglio dirvi ciò che direi ad un amico.Anzitutto parlerei dello sguardo. Quello di Michele Pellegrino non è gracile curiosità esotica come si vede nelle immagini belle pubblicate da molte riviste. Nelle sue foto affiora un’innata memoria. Gli sguardi di tutte le generazioni gli sono accumulate negli occhi; lui sembra conoscere l’origine delle cose, forse anche la fine. All’amico proporrei di sfogliare altre sue opere: gli direi di “Gente di Provincia”, di “Profondo Nord”, di “Scene di matrimonio”, di “Il Tempo delle Montagne” e di “Visages de la Contemplation” visto anni fa, per pochi minuti, a casa di un’amica, e cercato invano in tutte le librerie del mondo.Soprattutto gli direi fino a stancarlo, di una foto che amo più di ogni altra. Rappresenta una ragazza in sottoveste sull’uscio di una baita, in Val Vermenagna. Una bellezza montanara, non licenziosa. Dolcissima. E al contempo sensuale. Poi gli direi di un altro scatto sullo stesso soggetto. Discreto: la ragazza a seno nudo ripresa da lontano, che si risciacqua in una catinella smaltata, davanti alla stalla. Per ultimo gli racconterei che i libri di Pellegrino torno ogni tanto a sfogliarli: non per vedere come eravamo, ma per ritrovare l’intensità, la dignità, forse, di uomini e donne delle nostre Valli Occitane. E gli direi che quell’intensità affiora talora sbiadita, nei visi di Elva.